La fantascienza, che in Italia compie sessant’anni, è per i
comuni mortali quello che l’epica, un pizzico di rivoluzione copernicana
e persino il surrealismo furono in passato per le classi colte e
abbienti. Oggi che gli abbienti, parlando in generale, colti non lo sono
più e che la massa continua a invocare nutrimento spirituale in pillole
(i famosi “pasti concentrati” di cui parlavano i rotocalchi degli anni
Cinquanta, quando immaginavano il 2000), si è dovuta inventare la
pillola dell’immaginazione. Cinema, romanzi, fumetti, gialli e western
non bastavano più. E’ vero, per lungo tempo quei generi hanno tenuto
banco senza temere rivali, fornendo la dose quotidiana d’evasione,
intrattenimento e narrativa, e senza ricadute sociali negative; forse
per i consumatori più fragili vi sarà stato il rischio di una certa
assuefazione, il protrarsi di un’immatura tendenza all’illusione, ma per
i cervelli svegli il rischio è stato semmai quello d’intravvedere,
sotto la patina della favola, il rapporto con la realtà, con chi
veramente siamo quando abbandoniamo la maschera del dovere e torniamo a
lavorare di fantasia.
Poi è arrivata la fantascienza. Senza volerne decantare la nobiltà a
tutti i costi, ci si può accontentare di dire che rispetto agli altri
generi abbia il vantaggio di una maggiore lucidità. Per capire cosa
intendiamo dire, basta fare il paragone con la fantasy commerciale,
categoria che, a cinquant’anni dal successo mondiale di Tolkien, si
rivolge ormai soprattutto a un pubblico di adolescenti. La fantascienza
invece, pur influenzata anch’essa dalle leggi di mercato, conserva
sensibili tracce di razionalità-nell’-irrealtà. Ad esempio, nel rapporto
con le scienze e nella capacità di descrivere l’ambiente che muta
intorno a noi. Quest’anno, come abbiamo detto, per la science fiction
pubblicata in Italia cade un importante anniversario, il sessantesimo da
quando fu introdotta come categoria separata. Nell’aprile 1952 appariva
a Roma, per i tipi dell’Editrice Krator, “Scienza fantastica”, il primo
periodico ad essa dedicato in esclusiva. In ottobre uscivano da
Mondadori “I romanzi di Urania” e in novembre faceva capolino la loro
consorella, “Urania” (rivista chiusa dopo appena quattordici numeri ma
destinata a lasciare il suo nome alla collezione sopravvissuta). In
sessant’anni tre o quattro generazioni di italiani, lettori accaniti e
non solo della domenica, hanno sperimentato quello che i più cinici
chiamano ancora illusione, sogno ad occhi aperti, sottoletteratura. Ma i
cinici non sanno quel che fanno, e nel caso specifico quel che dicono.
Si tratta di un deficit d’eclettismo, male dello spirito che induce a
dividere tutto in blocchi contrapposti: letteratura e no, scienza
ufficiale e ciarlataneria, arte e kitsch. Il kitsch esiste, beninteso,
ma pochi si rendono conto, al di fuori degli esperti di estetica, che è a
sua volta un genere artistico. Come l’arte di massa non può essere
liquidata in blocco, così è assurdo parlare di subletteratura senza fare
i dovuti distinguo. La storia della fantascienza ha dimostrato, anche
in Italia, che nell’orticello delle pubblicazioni più dimesse potevano
essere ospitati, di tanto in tanto, meraviglie e capolavori. Meraviglie?
Dell’inventiva, certo, una qualità fondamentale nella buona narrativa.
Capolavori? Ma di ironia, costruzione, sagacia e qualche volta di
contenuto speculativo. La forma stessa del romanzo è cambiata sotto la
spinta di questi “potboiler” (polpettoni) che non erano più potboiler,
bensì racconti ricchi di humour e paradossi, sguardi sul mondo
tecnologico e le tre anguste dimensioni che solo il pensiero o il
desiderio possono ampliare.
La prima prova si ebbe con la mirabile serie di romanzi degli anni
Quaranta e Cinquanta che inaugurò la nostra collezione. “I romanzi di
Urania” curati da Giorgio Monicelli e poi l’”Urania” di Fruttero &
Lucentini spalancarono un forziere la cui sintesi fu attuata
nell’antologia einaudiana “Le meraviglie del possibile”,
ininterrottamente in catalogo dal 1959. Poco dopo Umberto Eco si
interessò di fantascienza e del mito di Superman, mentre Gillo Dorfles
accompagnava la sua curiosità per il design industriale con quella per
la science fiction, ennesimo segno del nuovo che avanza.
Come Fruttero & Lucentini scrissero in seguito, la fantascienza
vinse e stravinse la sua battaglia: da genere sottovalutato e
disprezzato conobbe, tra la metà degli anni Sessanta e la fine del
ventennio successivo, uno straordinario successo di pubblico e critica.
Poi, intorno alla fine degli anni Novanta e soprattutto nei primi del
XXI secolo, la sua sorte in Italia si appannò, le collane chiusero una
dopo l’altra e solo poche sentinelle rimasero in piedi, fra cui
“Urania”.
Il fatto si spiega forse con il trionfo del romanzo per tutti, quel
macrogenere massimalista che è il thriller- verité-sentimentalité di cui
ci nutriamo da mane a sera, perché riesce a contrabbandare abbastanza
furbamente le sue fantasie domestiche per indagini sulla realtà. Sicché
oggi il mercato è dominato dalla fantasy da una parte e dal thriller
dall’altra, cioè dai due estremi della narrativa romantica; mentre non
sembra rimanere molto spazio per un genere d’immaginario paradossale,
spesso agnostico, lucido per mestiere e solo occasionalmente
consolatorio com’è la sf. La quale, per giunta, parla di futuro, fisica
delle particelle e universi a più dimensioni non per preconizzare la
fine dei tempi o l’avvento dell’Anticristo, ma per riflettere, sia pur
ludicamente, sul fatto che siamo seduti su una polveriera.
No, meglio gli esorcisti che risolvono tutto. Meglio gli eterni
investigatori, specie se violenti, i serial killer, le indagini sul
marcio di tutti i giorni. Meglio l’amore, la passione, la famiglia e via
discorrendo. Come dar torto a quei lettori, a quegli spettatori? Ma un
manipolo di fedeli la fantascienza lo conserverà sempre: sono gli
imprescindibili (come diceva Brecht per altre ragioni), gli
insoddisfatti della melevisione, gli scontenti della stampa periodica
sponsorizzata e delle tre dimensioni. Tra i più anziani di loro c’è chi
ricorda ancora come tuonassero i benpensanti negli anni Cinquanta: sulla
luna non andremo mai! Ora la luna è alle nostre spalle, altre sfide ci
aspettano. E’ a quegli imprescindibili che “Urania” è dedicata e a cui
rivolge il programma di questa sua sessantesima annata. Avvertendo tutti
gli altri che, a non coglierne nemmeno un assaggio, perderanno più di
un bel romanzo e di una brillante raccolta di racconti tout-court.
Da parte nostra cercheremo di mantenere le promesse fatte a suo
tempo, e quindi nei prossimi mesi usciranno i nuovi romanzi di Peter F.
Hamilton (”The Evolutionary Void”, attualmente in traduzione da Riccardo
Valla), Mike Resnick (”Starship: Pirate”), Robert J. Sawyer (”WWW
Watch”) e John Varley (”Nel segno di Titano”) a continuazione dei
rispettivi cicli inaugurati nel 2011. Avremo un romanzo straordinario a
quattro mani per il numero di ottobre, quello del compleanno, già
tradotto da tempo da Flora Staglianò. Il titolo italiano non è ancora
definitivo, ma quello originale è “The Last Theorem”. Gli autori sono
talmente grandi e famosi che vi lasciamo il piacere di comporre il
puzzle ponendo l’ultimo tassello da soli. Speriamo di poter concludere
la trattativa - lunghissma - per “The Windup Girl” di Paolo Bacigalupi,
premio Hugo 2010, e di pubblicare il primo di due romanzi di Ian Watson
cui teniamo molto, “The Martian Inca” (”Gli dei invisibili di Marte”),
già tradotto da Salvatore Proietti. Più avanti uscirà un lungo romanzo
di Ian McDonald, “River of God”, mentre è probabile che procederemo alla
ristampa dei racconti completi di Fredric Brown in due volumi,
richiestissimi da tempo. Stiamo studiando la possibilità di creare nuovi
supplementi, o addirittura collane periodiche, per coprire i settori
dell’urban fantasy e della narrativa dark. Nel secondo semestre
dell’anno, infine, dovrebbe arrivare il tanto annunciato cambiamento di
veste grafica, che in primavera sarà preceduto da quello della
consorella “Segretissimo”. Nel corso del 2012 chi scrive pubblicherà un
volume sulla storia di Urania con la Profondo Rosso di Luigi Cozzi: si
intitolerà “Il futuro alla gola” e racconterà la vicenda
completa della nostra collana dal 1952 al 2012, vista attraverso gli
occhi del suo attuale curatore. Che dire ancora? Alle vostre domande
risponderemo man mano che arriveranno e purché si rivelino d’interesse
generale. A tutti, nel frattempo, buone letture.
G.L.
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